Massimo Fancellu

Coaching per il team

Emozioni: quando il passato è una trappola - Massimo Fancellu

Emozioni: quando il passato è una trappola

Se c'è una cosa che può aiutarti a vivere con serenità è quanto sei capace ad accogliere e gestire le tue emozioni. Ma forse sai anche che, nella gestione delle emozioni, gli errori sono dietro l'angolo.

Per questo,  ad esempio, sbaglia chi, giudicando ciò che prova, vorrebbe decidere quali emozioni vanno bene e quali meno. Così come non aiuta cercare di combattere o soffocare quelle che, a torto, consideriamo emozioni negative: le fai uscire dalla porta e rientrano dalla finestra!

Oggi voglio, invece, parlarti di un altro errore insidioso: non esprimere le emozioni al momento opportuno. Le emozioni, infatti, hanno a che fare col tempo.

Un'emozione utile ci aiuta a gestire il qui e ora, o ad orientare meglio il futuro. 

E' questa la cornice temporale in cui possiamo agire e mettere a frutto l'energia e le indicazioni che quell'emozione  ci sta mandando. Essere presenti alle proprie emozioni, nel momento in cui si provano, è l'approccio corretto per dare risposte pertinenti alla situazione, in modo da trarne il massimo vantaggio.  

Rimuginare sul passato non ti aiuta a star meglio nel presente

Non sempre e non tutti, però, vivono le emozioni per come sono, nel presente. Quando (per svariati motivi) decidiamo di ignorare anziché riconoscere e dare un senso a ciò che proviamo, mettiamo le basi per trascinarci molto più a lungo nel tempo quell'emozione inascoltata e inespressa. 

Il problema è che finiamo così per rimanere nel passato. Ovvero: la situazione che ha fatto scaturire quell'emozione è svanita ma emotivamente rimaniamo fermi lì a rimuginare.  

Beninteso: accorgersi degli errori commessi nel passato va benissimo, ci aiuta a non ripetere comportamenti dannosi e, quindi, ad affrontare meglio il presente e il futuro. 

Ma quando continuiamo a mettere peso e mantenere astio su fatti ormai accaduti, sui quali oggettivamente non abbiamo più possibilità di intervenire, corriamo il rischio concreto di trasformare quel passato  in una gabbia. Più rimestiamo su ciò che è stato, più costruiamo attorno a noi delle sbarre da cui diventa difficile uscire, distruggendo così il nostro quotidiano.     

Il collega ti ha piantato in asso? Se soffochi la rabbia, il risentimento è assicurato 

Te lo spiego con un esempio. 
Immagina di chiedere una mano ad un collega per completare un lavoro urgente che il vostro capo ti ha assegnato. A parole, il collega ti dice sì, di star tranquillo, che puoi contare sul suo aiuto per consegnare il lavoro entro la scadenza stabilita. Immagina anche, però, che -senza avvisarti- poi in realtà non sbrighi il lavoro di cui si è fatto carico, costringendoti di conseguenza a far le corse per finire tutto da solo in tempo utile.  

E nel momento stesso in cui ti ritrovi ancora tutto il lavoro sul groppone, un moto di stizza ti assale: avresti voglia di "cantargliene quattro" a quel collega, dirgli che è inaffidabile, che ci sei rimasto male, che col suo modo di fare ti ha lasciato davvero una bella gatta da pelare...

Avresti voglia, certo, ma, poi, decidi di ingoiare il rospo, di far vedere che ti "comporti bene", che "sei superiore" e non dai peso  alle sue negligenze. Ti convinci, perciò, che la tua rabbia sia disdicevole e che non "sta bene" provarla; finisci così per far  finta che non esista.

E ti fai pure i complimenti per essere stato "bravo" a soffocare la tua stizza. Peccato, però, che quell'emozione volutamente ignorata non sia così semplice da digerire.

Ogni tanto, infatti, rispondi infastidito quando quel collega ti chiede qualcosa,  oppure gli lanci delle frasette velenose per screditare ciò che dice o ciò che ha fatto. E magari,  la volta successiva in cui ti sarebbe utile chiedergli un altro favore, per ripicca non lo fai, sobbarcandoti ancora una volta tutto il lavoro da solo. Oppure, gli chiedi, sì, una mano ma, dato che sei ormai prevenuto, lo fai usando toni e modi spigolosi che non lo predispongono di certo ad aiutarti volentieri. 

Se vuoi risolvere i problemi, anziché trascinarteli, stai alla larga dalle emozioni "parassite"! 

Ogni qualvolta in cui decidiamo di non riconoscere, accogliere ed esprimere (con le modalità corrette) l'emozione nel momento in cui si manifesta, cioè nel presente, stiamo decidendo di non sfruttare l'energia risolutiva che porta con sé. E stiamo anche decidendo di portarne il peso e gli strascichi molto  più a lungo nel tempo, rivivendola più volte come "emozione parassita". 

Questo è il termine con cui,  nel testo  "L'Analisi transazionale. Guida alla psicologia dei rapporti umani" di Ian Stewart e Vann Joines, vengono definite le emozioni inadeguate a porre fine alla situazione, per distinguerle dalla emozioni autentiche. Citando gli stessi autori:  

L'espressione delle emozioni autentiche è adeguata come mezzo di risoluzione dei problemi nel qui e ora, mentre l'espressione delle emozioni parassite non lo è. 

Una rabbia autentica mi serve, perciò, a risolvere i problemi nel presente.

Così, tornando al nostro esempio,  potevi usare quel moto di stizza spontaneo, autentico, scaturito nel momento in cui hai scoperto che il collega ti aveva "bidonato", per reagire in modo appropriato alla situazione. Una rabbia autentica ti avrebbe permesso di manifestare subito, in modo gentile ma determinato, al tuo collega il tuo stato d'animo, evidenziando le conseguenze pratiche che la sua inadempienza avrebbe comportato per te. Saresti intervenuto, perciò, in modo autentico, senza finzioni e senza nasconderti, nel momento in cui era effettivamente opportuno per cambiare la situazione (se non nel presente, almeno per altre occasioni future). 

Viceversa, la rabbia covata e non espressa nel momento adeguato, si è trasformata in un'emozione parassita, manifestata al di fuori dell'orizzonte temporale in cui era utile esprimerla. Un'emozione non produttiva, perciò, perché non orientata a risolvere il problema ma, piuttosto, depotenziante, a causa dell'effetto corrosivo che il risentimento provoca sulle tue energie e sul tuo benessere. 

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Le emozioni trascurate fanno male a tutto il Team

Da quest'esempio, avrai capito inoltre che quando rimugini sul passato, senza sganciarti da un'emozione ormai inopportuna nel presente, fai del male non solo a te stesso ma anche ad altri.
Le emozioni non gestite correttamente, infatti, il più delle volte non hanno dei risvolti solo a livello individuale.

In azienda, spesso, a farne le spese è tutto il Team che,  a vari livelli, risente, in termini di serenità e produttività, degli attriti, delle incomprensioni e dei silenzi che serpeggiano fra le persone che lavorano assieme. 

3 domande per risolvere le emozioni "parassite"

Il mio scopo, però, non è demoralizzarti ma bensì metterti in guardia e, come Coach, aiutarti a trovare dei modi pratici per risolvere queste difficoltà, qualora tu riconosca di vivere situazioni simili.
Nel Coaching, le domande sono un mezzo potente e diretto per aiutare le persone a trovare delle vie d'uscita valide e "su misura" dell'individuo o del gruppo che deve applicarle.  
Per questo, chiedo anche a te:

  • Ci sono emozioni che ti può servire riportare nella corretta cornice temporale? 
  • Se riguardano situazioni passate, cosa potresti fare ORA per non trascinarti come un peso queste emozioni "parassite" ma per trarne energia positiva? Ad esempio, potresti parlarne con qualcuno, imparare cosa fare di diverso la prossima volta, capire come anticipare lo stesso problema in futuro...
  • C'è qualcuno che ti potrebbe dare un parere utile per "rileggere" in modo diverso ciò che è successo? 

Suggerimento finale: prendersi il tempo per gestire i tarli emotivi che disturbano la propria serenità e le proprie relazioni non è sprecare tempo, ma agire per evitare di buttarne molto di più alle ortiche in discussioni o malumori sterili ancora a lungo. 

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Massimo Fancellu
 

Sono un formatore e un Coach professionista specializzato nello sviluppo dei Team aziendali. Col mio metodo “TEAM IN 3 PASSI” aiuto i Team di lavoro che vogliono essere più efficaci ed efficienti. Questo in azienda significa lavorare con più affiatamento, maggior benessere e aumentare la produttività del gruppo.

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